TALENTO E SENSIBILITÀ

Il Talento e la sensibilità ambientale

Il Talento e la sensibilità ambientale

In questo post desidero condividere con te dei pensieri in risposta ad alcune domande, prima tra tutte: calciatori si nasce o si diventa? Ad oggi ci sono convinti assertori che identificano nell’allenatore “bravo” le sorti della “fioritura” del Talento; all’opposto, altri identificano nella genetica la determinazione e lo sviluppo del Talento, tant’è che lo psicologo tedesco Astrand sosteneva a riprova di questa tesi che: – “se vuoi diventare un’atleta devi sceglierti i genitori giusti“-.

Dove sta la verità?

A mio modesto parere la verità sta nel mezzo…, nella linea mediana, appunto. Le doti tecniche, atletiche e mentali di un calciatore possedute a corredo genetico dalla nascita (fattore endogeno), rischiano di rimanere incapsulate e inespresse se non adeguatamente sviluppate da un corretto allenamento (fattore esogeno). Portata alla luce questa verità, quasi scontata direi, ti pongo un altro quesito, riferito alla realtà in cui vivi in prima persona il calcio: nella tua società di calcio il percorso di crescita del giovane è in “sintonia” con lo sviluppo psico-fisico del ragazzo? Acclarato che una delle condizioni affinché il talento si manifesti sta in una spiccata attitudine “precostituita geneticamente”,  tutto si gioca sulla “sensibilità ambientale”, ossia nel “portare alla luce” abilità in dote ma non ancora manifeste. 

Ma cosa s’intende per sensibilità ambientale? 

Qui entrano in gioco molteplici attori che hanno ruolo attivo nella “determinazione e evoluzione del talento” o, più specificatamente, dei talenti. Eh sì, proprio così, perché il talento nasconde delle sorprese, spesso positive, nel senso che un “talento viene accompagnato da altri talenti!” Mi spiego meglio: se un giovane calciatore ha nella “sensibilità tecnica il suo punto di forza (talento primario) è probabile che manifesti talenti di altra natura, ad esempio particolari attitudini tattiche (visione e tempi di gioco, intelligenza tattica), di personalità (collaborazione, altruismo, attenzione), agonistiche (non molla mai, generoso) fisico-atletiche (rapidità, velocità, resistenza), cognitive (velocità di pensiero).

Società sportiva e famiglia: ruolo determinante…

Quando parlo di molteplici attori che hanno un ruolo attivo è evidente che il riferimento naturale va a tutti coloro che contribuiscono allo sviluppo del talento: società e famiglia in testa! Come già trattato in più post dall’amico dr.Fabio Ciuffini, esperto in materia, mi permetto di ricordare a chi opera su ragazzi di prospettiva con abilità multiple (superiori alla media e già selezionati) che attenzioni e responsabilità dovrebbero accompagnare la crescita del giovane talento in modo da rispettare “i suoi tempi di maturazione”.  Il rischio è quello noto: …”in poco tempo si riesce a inibire il talento ma poi ci vorrà una vita per restituirgli quello che prima gli riusciva con naturalezza“…

Cosa aspettarci per il futuro?

Salvaguardare le potenzialità individuali del talento, possibilmente di “casa nostra”, diventa allora una missione e un investimento per il futuro, l’unico possibile in questi tempi di ristrettezze economiche nel quale le poche risorse dovrebbero essere dirottate nei settori giovanili. Per assurdo, e concludo, sono proprio i momenti difficili che fanno maturare decisioni e prospettive diverse, dove nascono nuove opportunità,  progetti e una programmazione “seria fatta da persone serie e responsabili” a tutela dei giovani tutti e del talento. Per una nuova “sensibilità ambientale”.

NOI CI CREDIAMO! E tu?

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5 Replies to “Il Talento e la sensibilità ambientale”

  1. nicola mazzeo

    Occorrerebbe che si uscisse dal dilettantismo e dall’ipocrisia.
    Anzitutto le società dilettantistiche bisognerebbe che fossero un decimo di quelle che sono oggi, sparse in tutto il territorio nazionale. Come nelle società professionistiche, anche in quelle dilettantistiche, occorrerebbe, ( una volta accorpate in un numero decente ) che vi fossero sezioni per chi vuole ” giocare a pallone ” e sezioni per chi ha le attitudini per provare a ” giocare a calcio” L’anno scorso il mio bambino ( 2007 ) giocava in una notissima società dilettantistica toscana; ad alcuni miei quesiti il direttore sportivo rispose che fino a 12 anni i bambini devono solo divertirsi tutti insieme senza fare alcuna selezione ed anzi la funzione della scuola calcio è quella di fare in modo che quelli meno bravi diventino ” bravi come il suo bambino” Mi parve elementare chiudere ogni rapporto in modo istantaneo.
    In pratica il talento ” puro” del mio bambino doveva servire per aiutare gli atri. Il suo talento chi lo avrebbe sviluppato?
    Nessuno nasconde l’enorme funzione sociale e pedagogica del calcio giovanile. Il quesito è però il seguente: le società di calcio devono provare fin dall’inizio a formare calciatori talentuosi o sostituirsi ad altre istituzioni nello svolgere un ruolo preminentemente sociale? mi piacerebbe tanto – sul punto – un vostro autorevole parere.

    • CalcioScouting

      La questione è delicata. È indubbio che il calcio a tutti i livelli stia attraversando enormi criticità anche a livello gestionale e organizzativo (oltre che economico). Rilanciare la formazione e le competenze mi sembra una via d’uscita per meglio riconoscere e affrontare le numerose criticità che una società di calcio deve sostenere nel relazionarsi con i genitori e i giovanissimi calciatori. Detto questo, ogni realtà sportiva decide in autonomia il percorso e la metodologia che le sembra “migliore” privilegiando, ad esempio, la socialità e l’aggregazione piuttosto che lo sviluppo di altre competenze…Personalmente, visto che quest’anno sarò responsabile tecnico di una Scuola Calcio, ho predisposto che i bambini vadano “formati” sul livello di competenze raggiunto e quindi è indispensabile “creare” gruppi di livello omogenei. Sia chiaro, il mio intento è quello di dar modo a tutti di sviluppare e accrescere abilità su una base raggiunta e oggettiva (misurabile tramite test attitudinali) e non quella di creare “divisioni” al solo scopo di vincere qualche partita. La vera vittoria, ricordo, sta nella formazione! Se questo modus operandi può garantire “emersione” del talento, non posso permettermi di perdere di vista il ruolo sociale e aggregativo dello sport. Non sono d’accordo con lei quando esprime il desiderio di “accorpare” le società dilettanti prendendo a modello società professionistiche. Sono due mondi distanti anni luce ed hanno obiettivi completamenti diversi. Penso invece che le società dilettantistiche rappresentino a livello “territoriale” una buon motivo per dar modo ai ragazzi di continuare a fare sport e a condividere esperienze di campo con gli amici (senso di appartenenza). È chiaro che hanno degli obblighi nei confronti delle famiglie dei bambini, ossia quello di rendere chiaro “metodologia e obiettivi da raggiungere” per facilitare la scelta e condividerne o meno gli intenti…

    • CalcioScouting

      Intervengo anche io sul tema, aggiungendo alla risposta di Roberto solo una piccolo particolare, relativo al fatto che i bambini hanno una qualità immensa che a mio avviso facilita tanto il lavoro di un istruttore nella scelta e nell’orientamento rispetto alle esercitazioni da svolgere in campo, ovvero l’onestà nel riconoscere senza alcun problema quando un loro coetaneo ha doti tecniche di alto livello rispetto alla media. Questo significa che nonostante la competizione sia innata nei ragazzi (essendo desiderosi di imparare e “definirsi” a livello di identità individuale e collettiva), è anche vero che il confronto sociale pulito e sincero sta alla base di questo processo.

      Pertanto, se all’interno di una società vengono organizzate esercitazioni di diverso livello ed impegno che consentano ad un bambino più talentuoso di misurarsi con qualcosa di più difficile, è modesto il rischio di problematiche interne al collettivo. In linea con quanto dice Roberto, è necessario tuttavia focalizzare l’attenzione su certi equilibri che potrebbero compromettere la voglia di un bimbo meno capace di fare sport, incorrendo nel rischio di drop-out (abbandono) a seguito di continue frustrazioni conseguenti al sentirsi escluso da esercitazioni più impegnative. E questa deve essere una priorità assoluta per un istruttore.

      La soluzione potrebbe consistere nell’impedire che quest’ultime diventino troppo “settoriali”, ad esempio impostando un’esercitazione unica per tutti (magari con un bel nome di fantasia) , ma con gradazioni progressive di difficoltà in modo che tutti si sentano partecipi e coinvolti nello stesso esercizio senza che questo impedisca tuttavia al bambino di talento più spiccato di misurarsi con qualcosa di più adatto ed all’istruttore di evidenziare e valorizzare un’attitudine che, in quanto tale, è soggetta ad un incremento naturale di efficienza.
      Fabio Ciuffini

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