Se l’infortunio non è superato: la paura di rifarsi male

Se l’infortunio non è superato: la paura di rifarsi male

Uno degli aspetti più delicati di un infortunio è indubbiamente rappresentato dalla gestione psicologica del trauma.

Sappiamo molto bene quanto sia importante che un ragazzo infortunato venga scrupolosamente assistito e monitorato da un punto di vista medico e fisioterapico, ma minor attenzione viene posta su un altro fattore che può essere veramente decisivo sia nei tempi di recupero che nella qualità dello stesso: la componente psicologica.

L’infortunio agisce infatti sulla psiche del ragazzo in modo evidente e, in particolare, sull’immagine di sé di atleta “invulnerabile”, caratteristica tipica dell’adolescenza spesso correlata alla modesta percezione del rischio in questa specifica fascia di età.

Quando l’infortunio colpisce un giovane calciatore, il suo temperamento e la sua personalità in evoluzione e maturazione possono incidere in modo determinante sia sul recupero fisico che su quello mentale, considerando che l’integrità psicofisica viene interrotta bruscamente e messa a dura prova.

Quello che incide in modo particolarmente significativo è il modo con cui il ragazzo elabora il trauma, dato che la possibilità di manifestare il dolore, la paura, il dispiacere ed il malessere umorale ad esso conseguente, non sempre trova adeguato spazio, dato che l’attenzione prevalente da parte della famiglia ma anche dei tecnici è dirottata in primis sul recupero atletico.

L’idea è quella che il recupero psicologico avvenga pertanto spontaneamente e gradualmente a seguito del recupero fisico. Ma in realtà, il benessere psicologico del giovane atleta influisce pesantemente sull’atteggiamento che egli utilizza e matura nei confronti del recupero medesimo.

Alcuni test, oltre ad uno o più colloqui psicologici, consentono al calciatore da un lato di identificare e di dare un volto preciso al dolore, attraverso anche un processo di ricostruzione mentale dell’evento e dall’altro di mantenere intatta la fiducia e la sicurezza necessaria al ritorno all’attività sportiva, lavorando sul cambiamento della percezione di sé come “calciatore sfortunato”, nella direzione di quella di atleta in “fase di recupero”. Già a partire dall’immediato post-trauma.

Una mancata elaborazione cognitiva ed emotiva dell’evento ostacola la presa di coscienza della occasionalità dell’infortunio, facendo sentire il giovane insicuro ed intimorito nei contrasti, o nei giochi aerei (ad esempio) dando a se stesso prima e a chi lo osserva poi, la sensazione di fragilità. Che, quasi sempre, non ha alcuna base medica effettiva una volta che il ragazzo è stato ritenuto idoneo alla ripresa dell’attività sportiva.

Anche per chi cura l’aspetto medico e fisioterapico del recupero, avere a disposizione informazioni relative al rapporto tra psiche del ragazzo e trauma subito, facilita la comprensione di eventuali resistenze o lenti recuperi.

Il senso di sicurezza psicologica è una variabile correlata alla percezione del dolore sotto il punto di vista sensoriale, affettivo, valutativo.

Tali dati possono incidere sul modo di “sentirsi infortunato”, sul suo grado di “proattività” rispetto al recupero ed il livello di autonomia personale.

Particolarmente utile è l’utilizzo di un diario giornaliero del dolore, in grado di consentire al ragazzo di esprimere anche in forma verbale e scritta, l’intensità del dolore percepito e relative sensazioni, durante un determinato arco temporale.

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Dr Fabio Ciuffini, Psicologo, Consulente Area Psicologia dello Sport. Per info ciuffinifabio@gmail.com

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