Il Top-Team del calcio giovanile e una criticità di chi è abituato a vincere

senza-nomeLa concentrazione è un fattore altamente predittivo della capacità di una squadra di dimostrare adeguate risorse nel fronteggiare anche eventuali momenti inattesi di stress. Questo è in assoluto uno degli aspetti di maggior importanza in una squadra abituata a vincere e soprattutto a farlo con una certa disinvoltura e costanza.

Fenomeno che può verificarsi spesso nel momento in cui si fronteggiano nei tornei giovanili squadre di diverse qualità tecniche e spesso di diversa maturità sul piano fisico.

Cosa accade dunque quando una squadra di alto livello nella propria categoria impatta in un avversario tenace e più o meno inaspettatamente aggressivo e pericoloso?

Due sono sostanzialmente le reazioni possibili dinanzi a questo evento esterno, una indice di uno stato mentale negativo in cui la squadra è succube degli eventi e definibile one-down ed uno positivo, etichettabile come one-up, in cui invece si attiva un controllo efficace dello stressors.

In sintesi, il primo si riferisce all’insieme di reazioni individuali e collettive che mostrano un inadeguato adattamento allo stress come ad esempio nervosismo, panico, aumento della conflittualità interna tra i compagni di squadra, ma anche lanci lunghi non finalizzati, movimenti in campo non coordinati tra reparti, passaggi sbagliati, contrasti privi di fisicità.

Il secondo, invece, rappresenta l’insieme delle reazioni funzionali ad accogliere l’aggressività dell’avversario mettendo in atto reazioni adattive: squadra corta e compatta, movimenti coordinati, dialogo suppletivo tra i compagni (ad esempio incoraggiamenti reciproci, scambi di segni e gestualità di accordo, sostegno tecnico ad indicare ad esempio la presenza di un avversario libero da marcatura, capacità di anticipo e di gestione del pallone, adeguati tempi di gioco).

L’avversario pericoloso, aggressivo, compatto e coraggioso sul piano offensivo, determina infatti l’innesco di una reazione da parte del gruppo, che può dimostrare o meno resilienza, ovvero la capacità di adattarsi e fronteggiare lo stress in modo propositivo traendone un vantaggio, attraverso dinamiche di gioco orientate prima a reagire ad un atteggiamento vincente dell’avversario e poi orientato a trasformare un’iniziale difficoltà in una risorsa (cito la capacità di usare le doti tecniche degli esterni per ripartire in velocità dentro lo spazio lasciato dagli avversari che coraggiosamente prendono metri sul campo).

Sorge un interrogativo: potrebbe risultare utile abituare una squadra di ottimo livello per la categoria ad affrontare più spesso avversari anche di età anagrafica superiore al fine di abituarla un po’ di più a soffrire? Quanto può essere formativo per il singolo talento e per la squadra la possibilità di abituarsi alle criticità?

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Dott. Fabio Ciuffini
Psicologo dello Sport
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