Genitori&Calcio Giovanile: “siamo solo noi il problema?”

 

Genitori&Calcio Giovanile: “siamo solo noi il problema?”

Chi ci segue da tempo sa che il tema della genitorialità nello sport è per noi di particolare rilevanza. Abbiamo trattato argomenti come  il campionismo, sviscerato ed analizzato più volte le aspettative, le pressioni, i frequenti cattivi esempi che vengono offerti ai bambini, ai ragazzi, ai giovani calciatori allo scopo di ottenere con il calcio ed attraverso i figli un riscatto sociale.
Vorrei però provare ad analizzare le cose, stavolta, da un altro punto di vista: quello del genitore che serenamente decide di portare il proprio figlio in una scuola calcio, oppure quello del padre o della madre che vivono la realtà ed i ritmi di un settore giovanile.

Ho stilato pertanto una breve raccolta di esperienze dirette, voci ed opinioni di vita reale di molti di essi a bordo campo, situazioni di difficoltà sulle quali sono stato talvolta interpellato e che mi hanno spinto a descrivere e riportare molte delle lamentele e criticità che da “osservatore partecipante” ho potuto ascoltare e che ho rilevato essere in grado di portare una famiglia a portare il proprio figlio altrove, oppure a cambiare sport.
Il mio scopo è quello di suggerire una prospettiva di analisi diversa, che si soffermi sui lati negativi che le società restituiscono e palesano a chi cerca pacatamente di portare il proprio figlio a fare sport sui campi di calcio. Vediamone alcune:

LE CRITICITÀ RISCONTRATE DAI GENITORI

1. Impreparazione a gestire “il problema”
Molti genitori evidenziano l’incapacità delle società di affrontare e gestire
difficoltà relazionali o emotive dei bambini. Tutto è lasciato al buonsenso del singolo allenatore, o del singolo genitore. STOP.
In assenza di ciò, il problema resta: panico.

2. Scarsa comunicazione
Si manifesta in molti modi. Impossibilità a confrontarsi con un allenatore o un dirigente, responsabilità diffusa (nel senso negativo del termine, ovvero la tendenza ad entrare nel giro del cosiddetto “scaricabarile”, per cui se qualcosa non va è colpa sempre di chi non c’è…dell’allenatore che non capisce, del dirigente assente, del magazziniere, DEL BAMBINO), linguaggi non consoni all’educazione dei ragazzi, scarsa presenza di competenze trasversali.

3. Troppi bambini, poche “Risorse Umane”
“più sono, meglio è”. Molti genitori palesano la percezione netta che “fare numero e portare più bambini possibili” sarebbe un modo utile per portare risorse preziose alle società. L’idea stessa di organizzare miriade di tornei a ripetizione nei periodi festivi, ne rappresenterebbe pertanto indice. Pur in assenza di risorse umane necessarie a gestirli.

4. Obbligo di pagare il biglietto all’accesso degli impianti
“Ma come, già paghiamo per portarlo a calcio, e dobbiamo anche sborsare 5/6 euro ogni fine settimana per vedere nostro figlio che gioca? Anche in casa? In quello che dovrebbe essere il nostro stadio? Casa nostra?”
L’idea è che il pagamento del biglietto sia una forzatura non da poco, in relazione anche all’impegno economico e logistico già sostenuto dalle famiglie per far praticare lo sport ai ragazzi.

5. Disorganizzazione
Es. Conoscere gli orari delle partite o delle convocazioni dei figli all’ultimo istante, complicando la vita e l’organizzazione familiare. Assenza di canali comunicativi chiari e di semplice fruibilità e condivisi, di strumenti informatici e web adeguatamente aggiornati.

6. Campi di gioco inadeguati
Se naturali, vecchi, pieni di fango e buche. Se sintetici, vecchi, duri, colmi di insidie per la salute delle articolazioni ma non solo di quelle.

7. Poca chiarezza nei metodi e nei principi di allenamento
Alcune famiglie evidenziano la totale assenza di chiarezza circa i principi educativi, i metodi di allenamento, le modalità di gestione del gruppo, le prassi e le logiche che stanno dietro alle scelte, rendendole talvolta opache ai loro occhi.

8. Spogliatoi fatiscenti
Non è certo cosa rara sentire genitori che si lamentano di ambienti insalubri, sporchi, con docce non funzionanti in parte o in tutto, non adeguati a contenere tutti i bambini ed i ragazzi che devono “darsi il cambio” tra una partita e l’altra. Risultato? Testa bagnata e doccia a casa. Tempi biblici per “terminare le operazioni”. Anche d’inverno. E fuori fa freddo…

9. Molte parole, pochi fatti
Da un lato si parla di aspetti sociali e psicologici (sui quali si investe solo a parole), di gruppo, di valori, di etica, di istruttori, di formatori Dall’altra molti genitori criticano e rilevano comportamenti di cattivo gusto, scontri fisici e verbali in campo, modesto o nullo rispetto per l’arbitro (di ogni età), linguaggi aggressivi, investimenti mirati solo al successo, al risultato ed alla gloria (poco o nulla sulla formazione degli istruttori o sulla crescita personale dei giovani).

Potrei aggiungere molte altre cose, nella consapevolezza tuttavia che esistono sicuramente realtà che al contrario si impegnano per garantire quanto di meglio possibile, società che non si limitano a professare buone intenzioni, ma FANNO le cose in silenzio, non a scopo di utile facciata , ma con l’intento di stimolare (per davvero) la crescita dei ragazzi. Società che danno un valore sociale alla propria attività e che si impegnano al massimo districandosi tra le mille difficoltà economiche (specialmente se parliamo di dilettanti) e con modesti aiuti istituzionali.

Non saprei dire che percentuale sul totale esse possano rappresentare, ma ho la convinzione che le radici del calcio stiano anche e soprattutto nei settori giovanili di qualità.

Molte società farebbero cosa utile se smettessero di pensare che gli investimenti sulle competenze, la progettualità non solo tecnica ma globale sui ragazzi non è un costo superfluo e secondario e pertanto da evitare, bensì un chiaro segnale di crescita tangibile. Processo che consentirebbe ai genitori da una parte ed alle società dall’altra di iniziare a remare dalla stessa parte.

Purtroppo ancora oggi è evidente che alla prova dei fatti, molte parole si sciolgono come neve al sole alla prima difficoltà.
Anche noi, nel nostro piccolo, ne abbiamo avuto ormai ampia dimostrazione.

Dott. Fabio Ciuffini

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