Totti: core… de sta città

Totti: core… de sta città

Fine carriera di una bandiera vera: Tra calcio giocato ed identità collettiva

Chi ama il calcio, quello vero, non può restare indifferente alla storia d’amore tra Totti e la Roma. Tra Totti e Roma.

Da un lato un grande Capitano che ha dato tutto se stesso alla maglia che indossa. Dall’altro una società che lo ha cresciuto e coccolato in una gloriosa città, sportivamente citata in tutto il mondo grazie al suo talento.

A prescindere dalla Fede calcistica (sì, lo scrivo con la “F” maiuscola perché è roba seria, altro che..) Francesco ha rappresentato per il calcio un veicolo stupendo del senso d’identità. Quello che fa ridere e piangere, gioire ed arrabbiare. Che trascina la passione della gente avvicinandola,  con l’attrazione di una calamita potentissima – verso gli spalti di uno stadio.
E che, mi permetto di dire, è diventata variabile sempre più rara nel calcio moderno.

Ma al tempo stesso è stato anche atleta che ha saputo spiegare al mondo il significato vero dell’essere non solo romanista, ma romano.
Totti è stato nel calcio quello che Alberto Sordi è stato nel cinema.

Totti è la Roma. La Roma è Totti. E Totti è patrimonio di Roma.

Calcisticamente parlando, a prescindere dal fatto che il Capitano appenda le scarpette al chiodo per probabili avventure dirigenziali o che vada altrove alla ricerca di un’altra esperienza di fine carriera, la mia sensazione è che Francesco senta il bisogno di un saluto al calcio giocato diverso.

Fatto di tocchi di classe e gol determinanti e non certo di teste basse al termine di partite importanti dove un tempo avrebbe mostrato a tutti cosa significhi giocare a calcio.

Insomma, uscire a testa alta è parte dell’essere Campione e Totti ha diritto di uscire dal campo in altro modo.

Osservarlo così –  quasi spettatore passivo di uno spettacolo che quasi non gli appartiene più  – ha destato (almeno in chi vi scrive) un senso di amarezza  che, se da un lato orienta verso l’ipotesi che ciò sia stato frutto della testardaggine di un uomo che non ha saputo trovare il momento giusto per smettere,  dall’altro fa pensare ad una bandiera che avrebbe meritato qualcosa di diverso di una seppur strameritata standing ovation finale.

Non possiamo sapere se ciò sia stato effettivamente frutto di una difficoltà nel prepararsi al post carriera, o se sia stato esito di una voglia matta di continuare a divertirsi ed a divertire chi lo guarda dai seggiolini di una curva o da una poltrona davanti alla tv.

Quello che vediamo è un calciatore infinito che ha sempre saputo gestirsi da un punto di vista atletico e che ha voluto migliorarsi ogni anno. Con una motivazione intrinseca sorretta da un amore radicale per la propria maglia e, non dimentichiamolo, per la propria città. Come dimostra il saluto  – a tratti anche ironico ma sincero –  degli eterni “nemici” laziali che lo hanno omaggiato con il rispetto che si deve ad un avversario glorioso che ha portato in alto il nome di Roma e non solo della Roma.

Il mio augurio (ma è anche una certezza personale, in realtà) è che Totti possa salutare il calcio giocato come sente intimamente di fare e che possa essere in futuro per Roma quello che Antognoni è ancora oggi per Firenze : punto di riferimento eterno di un amore mai domo.

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