I minuti di gioco ed il dilemma del Mister: equità o meritocrazia?

I minuti di gioco ed il dilemma del Mister: equità o meritocrazia?

In determinate categorie, ma anche in base ai vari tornei giovanili disputati, i regolamenti e le “prassi” stimolano/obbligano un allenatore a distribuire in modo tendenzialmente equo la partecipazione di tutti i suoi giovani calciatori alle partite: il tema, tanto per capirsi, è quello dei minuti di gioco!

Tuttavia, un po’ per la cultura del risultato, un po’ per la filosofia educativa del mister, non sempre ciò si verifica in modo lineare e simmetrico, generando attriti con mamme e papà indispettiti per lo scarso impiego del proprio figlio.

Un problema che si evidenzia maggiormente quando i ragazzi crescono e il livello di competitività impone poi di avvicinarsi gradualmente alle regole classiche di una partita di calcio, che, di fatto, richiedono delle scelte su chi gioca titolare, chi entra in corsa e chi, invece, è destinato a restare seduto in panchina, generando spesso una migrazione verso nuove società.

Dunque qual’è il principio giusto, quello dell’equità o quello della meritocrazia stabilita dal mister?

Le aspettative di un bambino piccolo, sono basate non certo sul risultato, ma sulla partecipazione alle attività della propria squadra, il che costituisce una forma di strutturazione e maturazione della propria identità personale e sociale. In questo senso, I minuti di gioco sono per lui molto importanti.

Se un allenatore condivide e fa propri i principi dell’irrilevanza complessiva del risultato di gioco, favorendo invece il divertimento e l’integrazione tra i ragazzi, va da sé che incorrerà in modo meno frequente alle critiche di un genitore deluso dal fatto che suo figlio ha giocato pochissimo (“Ma come, abbiamo fatto 50 km di domenica per portarlo a giocare e lo fai giocare solo 5 minuti?).

Tuttavia, ciascun allenatore, come è giusto che sia, segue i propri principi educativi generali che possono anche divergere notevolmente tra un mister ed un altro nella loro applicazione pratica. Ad esempio, parallelamente alla crescita anagrafica dei ragazzi,  un tecnico potrebbe premiare quei bambini o quei ragazzi che si sono allenati con maggior partecipazione ed impegno, oppure potrebbe prediligere un dosaggio delle energie dei suoi ragazzi in base alle sue valutazioni personali circa lo stato di partecipazione emotiva alla partita o allo stato di salute dei suoi giocatori da lui dedotti sul campo.

Tutti fattori che difficilmente si possono vedere dall’esterno e che fanno parte delle regole interne di una società o di un gruppo di lavoro.

Ciò che stupisce, spesso, è il fatto che molti genitori non sanno, quando iscrivono un bambino in una scuola calcio, quale sia:

  • l’atteggiamento dell’allenatore ed in che modo egli stabilisca chi gioca di più e chi gioca di meno

  • quale sia la filosofia di lavoro di una società ed il grado di partecipazione richiesto

  • quali sono i principi alla base del lavoro tecnico ed educativo

  • Come viene gestito un periodo nel quale un bambino si sente poco integrato nel gruppo o desidera giocare di più

  • Quali sono i criteri di scelta nelle convocazioni (il numero di allenamenti? Le partite disputate? La lontananza della famiglia dalla sede della partita? Il rendimento scolastico? La qualità tecnica dei giocatori?)

In definitiva, è difficile dire con certezza cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, ma è senza dubbio possibile stabilire cosa sia più o meno adatto alle proprie prerogative di genitore. Se un padre ed una madre ritengono giusto che il figlio giochi sempre perché lo sport è un’attività ludica di svago e di natura distraente rispetto a gravosi impegni scolastici, sarà difficile ipotizzare che venga accettato un allenatore che educa per pura meritocrazia soggettiva, perché ciò espone al rischio che un figlio possa anche non giocare sempre.

Al contrario, se una famiglia ritiene che quest’ultimo debba imparare a sacrificarsi per ottenere dei risultati in campo, storcerà la bocca davanti ad un allenatore che gestisce il tempo in modo equo indipendentemente dall’impegno.

Per questo motivo, parlare e confrontarsi con i dirigenti di una società e con un allenatore prima di iscrivere un figlio in una scuola calcio o comunque all’inizio di una stagione sportiva, diventa spesso molto importante al fine di porsi in una prospettiva condivisa di educazione che aiuti anche il ragazzo durante l’anno a rispondere positivamente agli allenamenti ed all’attività sportiva generale.

Principi, questi, utili anche all’allenatore, che potrebbe beneficiare di una conoscenza più precisa e consapevole delle aspettative delle famiglie nei suoi confronti, acquisendo nel tempo, ove necessario, quella competenza ed esperienza anche di tipo comunicativo utile a gestire eventuali momenti di dialogo e confronto che, spesso, si traducono ancora oggi in incomprensioni spesso siderali sia con le famiglie che con i ragazzi coinvolti nelle scelte.

CALCIOSCOUTING

Dr Fabio Ciuffini Area Psicologia dello Sport

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12 Replies to “I minuti di gioco ed il dilemma del Mister: equità o meritocrazia?”

  1. Anna Antonucci

    Finita la scuola calcio deve essere applicata la meritocrazia se vogliamo che anche in Italia lo sport sia importante. La UISP potrebbe accogliere le famiglie che vogliono solo il divertimento. I genitori non devono discutere le scelte dell’allenatore.

    • CalcioScouting

      L’importante sarebbe che vi fosse una maggiore comunicazione e che i genitori fossero consapevoli dei principi che guidano le scelte del mister. Possono esserci punti di vista contrastanti e diversi (legittimamente), ma l’errore nasce quando non c’è dialogo e quindi, conoscenza dei criteri utilizzati. Quest’ultima potrebbe anche incoraggiare una maggior partecipazione collettiva. In fondo il mister è formatore ed educatore e quindi è legittimo che vi sia un confronto sano con chi delega all’allenatore la gestione di una componente importante della crescita (quella sportiva e sociale dei figli).
      Assistiamo invece spesso a distanze ancora siderali tra le due componenti.
      La meritocrazia è un processo graduale che chiaramente incide nel tempo ed in modo proporzionato all’età dei ragazzi ed al livello competitivo.
      Saluti.
      Fabio Ciuffini

  2. andrea

    essendo istruttore di un gruppo della scuola calcio ritengo basilare e ampiamente giusto far giocare tutti nell’obiettivo non di vincere ma di crescere. Ovvio che tutti ( in primis il babbo e ora ci sono anche le mamme e i nonni)devono tener presente le regole comunicate prima dell’inizio della stagione e successivamente consegnate anche fisicamente su carta.
    Chi non le rispetta sta fuori, anche e soprattutto quelli ” bravi”
    E’ comunque ovvio che non tutti i ragazzi giochino gli stessi minuti oltre al fatto che non si deve mandare via nessuno ( se non è “bravo”). Ultima riflessione che faccio essendo in una società non blasonata, è necessario ( a partire dai più grandi sempre della scuola calcio) tutelare quelli più indietro ( facendoli sempre giocare ma con una qualità omogenea) ma anche quelli più avanti ( con altrettanta pari qualità) altrimenti si rischia che tutti quelli ” più avanti” lascino la società e retino solo quelli ” più indietro”

  3. Giampiero Ceccarelli

    gentilissimo sig. Fabio Ciuffini nella sua esposizione riguardante I” MINUTI DI GIOCO ED IL DILEMMA DEL MISTER: EQUITÀ O MERITOCRAZIA?”, ha fatto una disamina che riguarda il giocatore che gioca di meno e i suoi famigliari, a mio avviso era importante che lei valutasse e insegnasse agli allenatori il comportamento che dovrebbero avere a riguardo questi giocatori. Quasi sempre la scelta cade non tanto sulle qualità fisiche e non tecniche perchè a questi livelli il fisico fà la differenza in termini di risultati immediati che non sono quelli di una crescita del gruppo e come quasi sempre succede, quando gli altri magari più dotati tecnicamente cresceranno avranno più possibilità di far vedere le loro doti calcistiche , con ill rischio di perderne qualcuno per la strada. Ci sono allenatori nelle giovanili che dimenticano spesso che dovrebbero essere istruttori di calcio e di vita e che dovrebbero il calcio in tutte le sue sfumature comprese quelle del rispetto reciproco, che non vol dire fare giocare tutti con lo stesso minutaggio, ma neanche non far giocare quasi mai chi si spoglia insieme a loro e che fà gli stessi sacrifici per l’impegno e la scuola, insomma ogni tanto una carezza senza discorsi utilitaristici e ingannevoli del tipo: I convocati sono questi perchè il campo parla per voi! Così si umiliano i ragazzi e li si mette in condizione di disagio con l’allenatore le famiglie ed i compagni. Gli si dovrebbe spiegare il perchè, motivando il perchè giocano di meno, dandogli la speranza, dopo il loro completamento fisico di essere in grado di giocarsela con i compagni. Secondo il mio parere lei dovrebbe insegnare come si dovrebbero comportare con i propri ragazzi, sia con chi gioca di più ma soprattutto con chi gioca di meno. A tutti i livelli giovanili quello che conta è il risultato, non con tutti, ma chi in quel momento è in grado di far vincere un campionato, un atteggiamento che secondo me alla fine è una sconfitta per la società, che sarà magari contenta di avere un trofeo in più in bacheca ma sicuramente qualche giocatore in meno che possa essere utile alla causa della società. Il problema nei settori giovanili in generale è quello che riguarda la parte tecnica che ormai quasi nessuno è in grado di insegnare e quella di insegnare il rispetto da ambo le parti di come ci si deve comportare con i ragazzi, che riguarda il comportamento degli ISTRUTTORI nei confronti di chi giornalmente allena, ragazzi che si affacciano al mondo dei grandi, trattando tutti alla stessa maniera nel rispetto delle regole che devono valere per tutti e che spesso vengono disattese per chi in quel momento gli può far vincere qualche partita in poi. Mi disse un giorno un mio allenatore delle giovanili Emilio Bonci dopo avermi punito escludendomi in un torneo per un mio comportamento sbagliato: ” Prima devi diventare un uomo, poi forse diventerai un giocatore”

    • CalcioScouting

      Gentile Giampiero, grazie per l’appassionato commento che ha voluto inserire.
      Condivido pienamente i principi che sono alla base del suo ragionamento, tant’è vero che all’interno dell’articolo specifico quanto sia importante che un allenatore impari a gestire proprio questo tipo di situazioni, in modo da evitare da un lato diatribe di metodo con la famiglia e dall’altro (aspetto molto importante) di chiarire ad un bambino o un giovane quale sia la logica educativa perseguita.
      La mia domanda sul fatto se sia preferibile l’equità o la meritocrazia sta nella necessità di condividere con le famiglie un percorso, che potrebbe contemplare l’una o l’altra soluzione, purché essa sia discussa e resa nota ai genitori.
      Sono dell’idea che entrambe le soluzioni abbiano aspetti positivi e negativi, così come ritengo che sia essenziale la coerenza tra ciò che è detto e professato e ciò che è fatto. Condivido anche la sua opinione in merito al fatto che l’aspetto tecnico sia poco allenato e che la fisicità come unico parametro di riferimento per il supporto e la crescita del talento sia limitativo rispetto ai ritmi di crescita dei ragazzi, certamente non omogenei.
      Trarrò spunto dal suo contributo, per il quale la ringrazio ancora.
      Cordiali Saluti
      Fabio

      • Giampiero Ceccarelli

        Grazie della tua risposta Fabio, io faccio parte dell’area tecnica della prima squadra di una società professionistica e quanto detto precedentemente è dovuto al fatto che diversi giovani, scelti e incoraggiati a far parte del settore giovanile, dopo due anni se ne sono andati perchè si sentivano umiliati e non si divertivano più. Sto parlando di ragazzi giovanissimi nazionali e allievi, quindi quei ragazzi che per emulazione e capacità tecniche cominciano ad entrare nel mondo dei possibili “calciatori” del domani. Questa cosa per me è una sconfitta per chi li allena e per la società, e ti dico che per esperienza diretta nel mio passato di calciatore ho visto ragazzi dotati di buone qualità tecniche e poco fisiche alla fine del loro percorso sono diventati calciatori con la C maiuscola, qualcuno arrivato arrivato alla serie A e anche alla Nazionale, mentre quelli più dotati fisicamente sono finiti nelle serie minori dilettantistiche. L’esempio l’abbiamo sotto gli occhi da società come la Roma, il Napoli e la Juventus che al loro interno hanno giocatori del loro settore giovanile arrivati ad essere titolari (che fisicamente non sono cresciuti, ma hanno afffinato di più le loro qualità tecniche e caratteriali) quello che successe ai miei tempi anche nella mia società, che con cinque giocatori del settore giovanile raggiunse la serie A. Ora mi rendo conto che il calcio è cambiato e si richiede principalmente la fisicità, ma non deve essere la priorità. che secondo il mio punto di vista deve essere quella di una crescita omogenea del gruppo, il più o meno minutaggio ci sta, ma è importante motivare i ragazzi, farli sentire parte integrante del loro gruppo, vincendo con le forze e le capacità di tutti, questa è la vera vittoria per un allenatore e una società. Quindi io punto il dito sui responsabili dei settori giovanili e sulla sensibilità dei loro istruttori, che probabilmente amano di più essere chiamati allenatori, se lo vogliono essere si devono mettere in gioco e andare ad allenare altre categorie dove avranno la possibiltà di dimostrare quanto valgono. Quindi mi piacerebbe avere un suo parere a riguardo, anche se mi rendo conto che è un tasto esplosivo perchè vincere ed esibire coppe e trofei fà sempre la felicità di presunti allenatori, dirigenti e società, che però cozza contro l’interesse generale, quello di vedere quanti più calciatori del settore giovanile arrivare alla prima squadra, quello che tutti inizialmente prima professano e poi rinnegano grazie. Giampiero

        • CalcioScouting

          Gent.le Giampiero,
          le fornisco volentieri il mio punto di vista, anche perché quello che Lei scrive è il “fulcro” di gran parte degli articoli e dei messaggi che tramite CalcioScouting stiamo cercando da un paio d’anni di trasmettere, specialmente quando parliamo della necessità di curare il giovane talento in modo armonico, senza trascurare la componente psicologica, la sua crescita personale oltre che sportiva e puramente calcistica.

          Girando per i campi di calcio e visionando partite di ragazzi di tutte l’età, mi sono reso subito conto di quanto il “potere del risultato” sia forte in molti allenatori di tante realtà locali e quanto tale cultura abbia influenzato negli anni metodi ed approcci di lavoro. Tant’è che quando parliamo del nostro modo di monitorare ed osservare gli aspetti psicologici e comportamentali del ragazzo raccogliamo spesso stupore, proprio in virtù del fatto che riscontriamo estremismi assoluti nel giudizio.

          Il concetto del “tutto e subito” oppure del “è buono/non è buono” riferito ai calciatori in pieno sviluppo evolutivo è a mio avviso causa di molti “errori” che hanno contribuito a mettere da parte ragazzi di talento ai quali non è stato concesso il tempo di esprimersi ed i quali, oppressi dalla pressione del risultato, hanno visto le loro potenzialità non riconosciute.

          Già a 14/15 anni si parla di giocatori “fatti” e sento giudizi categorici ed imperativi che poco hanno a che fare con i ritmi fisiologici e psicologici di crescita, che non lasciano spazio alla prudenza e pazienza di aspettare che un talento possa “germogliare” con i tempi di cui necessita.

          Affinché ciò sia possibile ritengo necessario prendersi cura dei ragazzi in modo capillare ed armonico. Motivo per il quale penso che una società sportiva (anche dilettantistica) dovrebbe ricorrere a metodi di lavoro che tengano in maggior considerazione le componenti emotive, sociali, relazionali, che hanno sui ragazzi influenze di grande rilevanza nella loro crescita e che andrebbero pertanto supportate adeguatamente.

          Insomma, i ragazzi dovrebbero avere tempo e possibilità di maturare competenze non solo calcistiche ma anche psicologiche. Il che aiuterebbe ad aumentare la qualità della loro crescita ed anche della loro performance, oltre che la consapevolezza dei propri mezzi.

          Molte società purtroppo non hanno pazienza, e gli allenatori spesso sono i principali rappresentanti della cultura del risultato della società di cui fanno parte.

          Ascolto allenatori di bambini di 7-8 anni parlare (ed urlare) di marcature, rimproverando a gran voce i bambini che sbagliano generando in loro timore e inibendo il divertimento, motore vero a questa età.
          Conta il gruppo, la socializzazione, il modo di condividere un’esperienza collettiva. Nei settori giovanili gli allenatori dovrebbero essere “formatori” prima che “allenatori” (sulla linea di quanto afferma Horst Wein, ideatore del Funino).

          Puntare al risultato e basta non dà modo di elaborare la sconfitta. La crescita di un talento passa anche da questo aspetto: saper perdere, saper imparare dalle esperienze negative e trarne vantaggio per il futuro.
          Il vero trofeo di un allenatore dovrebbe essere vedere “sbocciare” un giovane talento, vedere un bambino “impacciato” imparare a fare un movimento con soddisfazione, avere un gruppo che ha rispetto, coesione, impegno, dedizione e senso di responsabilità e sacrificio.
          La fisicità conta, ma condivido pienamente che non possa essere unico elemento utile di analisi e selezione del calciatore. Gli esempi che lo dimostrano sono infiniti.

          Il rilancio del nostro calcio (a tutti i livelli) dovrebbe passare da profonde riflessioni sui temi che abbiamo piacevolmente qui discusso insieme.

          Mi fa molto piacere che una persona della sua esperienza e professionalità abbia trovato nel nostro sito uno spazio dover esprimere un’opinione così sentita e appassionata.
          Per noi una vera soddisfazione.

          Grazie di tutto.
          Fabio Ciuffini

          • Giampiero Ceccarelli

            Dopo la precisazione della signora Anna Antonucci “che dopo la scuola calcio devono giocare i più meritevoli” e i genitori non devono discutere le scelte dell’allenatore, mi sono accorto che ho ommesso che i ragazzi di cui parlavo erano a sua volta stati scelti da altre società limitrofe e addirittura da altre distanti 150 km. Quindi ragazzi che in prospettiva avevano qualità per diventare, dopo la loro crescita, i possibili giocatori del domani. Mi auguro che la signora Anna non sia la mamma di un bravo calciatore in erba che viene penalizzato perchè magari deve dividere il minutaggio con un’altro per il momento meno bravo, perchè se fosse così anche lei avrebbe disatteso “le scelte dell’allenatore non si discutono”… in questi casi per me vale anche solo il pensiero e ciò che si dice tra le mura domestiche. Se non fosse così ma solamente un suo pensiero, chiedo scusa alla signora Anna solo per averlo pensato. I genitori secondo il mio parere dovrebbero essere contenti di vedere i loro figli felici, sgambettare in un campo verde, che si divertano e che portino a casa la serenità e il sorriso…ricordandosi sempre di quelli meno fortunati. Non è una polemica la mia ma una constatazione giornaliera di mancanza di sensibilità da parte di tutti quei genitori che pensano di avere un campione in casa.

  4. LORIS

    Scrivo la presente, per esprimere la mia più grande amarezza, dopo la decisione di mio figlio a lasciare il mondo del Calcio, dopo sei anni militati dalla categoria Pulcini, alla categoria Giovanissimi Provinciali -campionato di un girone senza classifica, appartenente ad una società se pur di paese, ma comunque molto blasonata della mia città.

    Credetemi, non perché io volessi un figlio campione o avessi chissà che aspettative, ma per come nell’arco di un mezzo campionato, per lui andare a giocare sia diventata un’ossessione, creata in primis dall’allenatore, accecato solo dalla fame di risultati che avrebbero decretato la riconferma per l’anno successivo, e oltre, a valorizzare alcuni elementi da inserire nella prossima stagione , categoria Giovanissimi Regionali e/o Elite.

    Premetto che tutto questo portava a disparità di regole, dove venivano penalizzati sempre gli stessi atleti, e non per demeriti, ma solo per convinzioni sia dettate dalla Società, sia dallo stesso Mister.
    Ragazzi che nonostante l’impegno costante, il sacrificio, venivano utilizzati nella partita di campionato solo per pochi minuti, o addirittura neppure messi in campo, nonostante il valore tecnico tattico si equivalesse, a parte qualche “eccezione.”

    Non voglio giustificare mio figlio, sono il primo a criticarlo se occorre, ho sempre cercato di responsabilizzarlo sia nell’impegno, nel rispetto, nella disciplina anche sportiva che stava svolgendo, rispettando gli impegni presi, spronandolo sempre di più, sperando in una crescita calcistica, educativa e umana, ma non mi accorgevo che stava vivendo una situazione paradossale, dove non c’erano regole: Per chi Saltava un allenamento e giustamente non Convocato alla partita di campionato, mentre c’era chi aveva il privilegio di Saltarne anche due consecutivi, e veniva ugualmente convocato, dove si guardava solo al risultato, annaspando di partita in partita a risultati altalenanti, senza un’idea di gioco, con tre successi acquisiti addirittura con giocatori cosi detti di riserva, puntualmente rimessi in panchina le partite successive, senza essere quantomeno premiati.

    Viste le circostanze sopraggiunte, ho informato prima la Società, chiedendo se era giusto non d’are la possibilità a tutti i ragazzi, disputando un campionato ribadito senza classifica, di giocare più minuti, e sul disagio e la volontà di mio figlio a lasciare il calcio:
    Risposta della Società: scelte del Mister..!
    Poi successivamente, dopo l’ennesima partita dove ho notato il totale menefreghismo del Mister, sulle tematiche citate sopra, e chiedendo allo stesso,come venissero applicate alcune regole solo a discapito di alcuni ragazzi?
    Risposta del Mister: decido io faccio quello che voglio io …..! In pratica se mi va bene , altrimenti mi deve andare bene comunque.

    Il mio più grande rammarico è: che alla luce di tutto ciò, la Società mi ha obbligato a lasciare definitivamente la stessa a fine stagione, e di trovarmi un’altra squadra per mio figlio, per comportamento irriguardoso e offensivo nei confronti del Mister, cosa che io non ho assolutamente fatto o detto.

    Aggiungo che lo stesso Mister, dopo aver saputo che mio figlio si era ritirato dalla squadra, non si è degnato neppure di fargli una telefonata.

    La nota positiva di tutta questa storia sta nel fatto che mio figlio ha gia lasciato la squadra e ritrovato il sorriso, sperando che un giorno ritrovi la passione per questo sport.

    Loris.

    • CalcioScouting

      Ciao Loris,
      dispiace davvero tanto sentire storie come quella che ci hai raccontato e che ti tocca direttamente, visto che si tratta di tuo figlio. Purtroppo sono ancora frequenti situazioni, luoghi e persone (pseudo società e scuole calcio) che non si comportano con “fini educativi e formativi”, ma mirano solo a salvaguardare il loro prestigio e le loro vittorie. Grazie alla tua famiglia e al tuo supporto, auguriamo al tuo bambino di ritrovare le giuste motivazioni, la giusta serenità e le condizioni ambientali migliori per poter “giocare, divertirsi e imparare”…Perché è questo che i nostri figli cercano… E gli adulti dovrebbero garantire. In bocca al lupo

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